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Il Rosso e il Nero

penny dreadful, john logan

Decisamente lontano dai toni del romanzo francese del XIX secolo si rivelerà il titolo – audace, se vogliamo – di questo che è in tutta onestà un appassionato, ancorché breve, discorso da salotto; sapete, una di quelle apologie con alle spalle poca arte e più sentimento che forse, in universo friabile e cangiante com’è quello delle recensioni, costituisce più un morbo che un apporto.

È tuttavia sul sentimento e soltanto sul sentimento – e sull’arte senz’altro, ma in un secondo momento – che vi chiedo di attardare la vostra disposizione. Non di Julien Sorel, ma di Vanessa Ives, non di Napoleone o della Francia fresca di rivoluzione, ma dell’Oscurità e di una Londra sul finire dell’Ottocento, che ad essa soggiace, più che ad ogni meraviglia della modernità, di questo si parlerà: di Penny Dreadful.

Ed esaurisco le generalità proforma col dire che si tratta di una serie tv di produzione britannica, anche se statunitense per ideazione e sceneggiatura (in parte) di John Logan. Né peraltro si indulgerà in osservazioni su parte del genio da cui questa serie trae linfa quando occorre nominare Alan Moore e La Lega degli Straordinari Gentlemen. Ma il perno di questa serie, attorno al quale ruota ogni vicenda, ogni inquadratura, è il romanzo gotico. Vengono avidamente pescati personaggi del panorama ormai a noi noto, come Victor Frankenstein, Dracula e finanche Dorian Gray, inserendoli in quella che sulle prime può apparire una sospetta brodaglia condita alla bell’e meglio, servita con presentazione ed atmosfera atte a supplire alla penuria di sostanza… Un pretesto, insomma, o come oggi sarebbe comodo – quanto stoltamente sbrigativo – dire: “un’americanata”.

Ebbene la verità, con queste lenti, non potrebbe essere più distorta. Capovolta, sarebbe il caso di dire.
Quante volte capita di assistere a scempi televisivi o cinematografici in cui l’estetica – o ciò che ad opinabilissimo parere di sviluppo sarebbe tale – la fa da padrone? Quante volte l’esplosione, la battaglia, il bel faccino o i bicipiti degli interpreti e perché no, della computer grafica, lanciano sullo spettatore una malìa che ne tesse l’opinione, ne cattura lo sguardo fino a far dimenticare che alle spalle dell’immagine sarebbe d’uopo proporre anche un messaggio. Quanto spesso presentazione e cornice hanno caricato sulle spalle il peso morente di produzioni che, all’osso, mancavano di ogni scintilla creativa.

penny dreadful, john logan

E ora la domanda: se un’opera sapesse giocare con voi, lasciandovi cullare nella convinzione che ciò che propone sulle prime sia forma per poi pugnalarvi nel sonno con stilettate di emozione, di potere narrativo, di ferocia e bellezza, e capiste soltanto attraverso gli squarci dell’arazzo che il disegno cui davate tanta sicurezza è in verità capovolto? Se sangue, mistero, pericolo e sovrannaturale costituissero la scia di dolciumi che deve attirare lo spettatore verso qualcosa perso nei boschi…

Penny Dreadful gioca con le convinzioni di chi le si accosta e l’adagio, più volte ventilato nel corso della serie e non per nulla caro al nostro Wilde (ovvero che «… chi scende sotto la superficie lo fa a proprio rischio»), è un po’ il viatico con cui chiunque dovrebbe avventurarsi nella visione di questa serie. Si potrebbe preferire qualcosa che impegni meno, che ferisca meno. Non è necessario parlare di trama, interpreti o tecnicismi di cui comunque capirebbe meno chi scrive di chi legge, e del fatto che l’opera non è esente da nei, a volte neanche troppo indifferenti. È più semplice vederli naufragare nell’oceano di sguardi fra una donna in bilico tra due mondi e l’eco di un uomo, che forse uomo non è più, e magari è più di questo. Contro le arie spiranti del Liebestod di Wagner si consumano vite incapaci di vivere nel ritratto di se stesse, ed altre sospese fra i versi degli ultimi romantici, appena oltre le porte sempre aperte dei mausolei del ricordo, del rimpianto e del supplizio.

A voi scegliere, a questo segno, quale direzione seguire. Se certe e soleggiate vie lungo cui noia e vacuità troveranno conforto nel paesaggio, oppure il sentiero meno battuto alle nostre spalle, quello per cui è necessario voltarsi, la strada che si perde nella selva lontano dalla Grazia. Sotto un cielo rosso, su di una terra nera. E cercare, viaggiatori dei confini, l’alba nell’imbrunire.

di Andrea Massimi

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