Teso fra la ricerca di gloria e l’aspirazione alla tranquillità dell’animo, il “Secretum” di Francesco Petrarca testimonia il tentativo dell’autore di prendere consapevolezza dei propri mali interiori: la sua vicenda personale si fa così ritratto della condizione umana.
È il biennio 1348-1350, anni che segneranno una svolta nella vita di Petrarca. In quel periodo la peste infuria in tutta Italia e in Europa, decimando la popolazione, e molti cari amici del poeta vengono a mancare in un breve lasso di tempo. La stessa Laura, la donna amata e venerata nelle rime volgari, muore per la peste il 6 Aprile del 1348. Nella prima lettera della raccolta delle Familiares, Petrarca descrive la tragicità di quell’anno con queste parole: «Il tempo, come si suol dire, ci è scivolato tra le dita; le nostre antiche speranze sono sepolte con gli amici. È il 1348 che ci ha reso poveri e soli».
I numerosi lutti, la separazione dalla famiglia Colonna, presso la quale Petrarca aveva prestato servizio fino al 1347, e la scomparsa di Laura, accentuano nel poeta il timore di una morte prematura e la sensazione di instabilità e solitudine. La paura che il tempo si riveli insufficiente causa nell’animo del poeta il bisogno di vedere realizzate le sue ambizioni, ma la consapevolezza di non aver ancora concluso l’opera che farà sopravvivere il suo nome nella storia ne aggrava lo stato di insoddisfazione. Egli comincia a passare in rassegna il lavoro svolto fino ad allora e vede solo progetti lasciati a metà o in uno stato frammentario.
Oltretutto, l’8 Aprile del 1341, era stato incoronato poeta sul Campidoglio di Roma da Orso dell’Anguillara, ma questo riconoscimento, affannosamente rincorso per raggiungere, forse prematuramente, la gloria poetica, si rivela effimero e immeritato. L’ansia di terminare, collazionare e dare corpo alle opere frammentarie, diventa un bisogno impellente, che conduce il poeta a concepire un progetto letterario particolare. Petrarca decide di rinunciare alla letteratura umanistica, scritta per altri e che parla di altri, per passare alla filosofia morale, la quale ripiega sulle vicende personali dell’autore. Egli vuole raccontare il percorso che lo ha condotto a sconfiggere le passioni giovanili, come l’amore e la gloria, e a curare i mali dell’animo che lo tenevano prigioniero. Sono le opere concepite dopo il biennio ’48-‘50 che portano al centro della narrazione l’io del poeta, descrivendo il percorso della redenzione dalle passioni e proponendo la vicenda biografica dell’autore come un esempio da imitare.
Il progetto del Secretum
Dunque, il nuovo obiettivo di Petrarca è l’insegnamento morale, sorretto dal solido esempio della sua vita. Il modello al quale si ispira e con il quale si confronta non può che essere quello di Sant’Agostino: il padre della chiesa in cui la filosofia stoica, cara al Petrarca, e la religione cristiana, trovano la giusta coesione. Agostino è l’uomo che dopo essersi perso negli errori e nelle passioni giovanili riesce a compiere la mutatio vitae, che con l’opera Le Confessioni testimonia la sua conversione.
Ciò nonostante Petrarca non è Sant’Agostino. La giovinezza del poeta non è segnata da una confusione morale profonda e la sua redenzione non è convinta e totalizzante come quella del santo. Piuttosto, la mutatio vitae di Petrarca è un espediente letterario. Egli, per conferire spessore alle proprie vicende, progetta una biografia nella quale convergono finzione e realtà, arricchendo di significati simbolici gli eventi della sua vita e modificando le tracce del passato che contraddicono la nuova immagine di sé. Inizia così a riscriversi, ma il progetto non è semplice. Petrarca deve fare in modo che la finzione letteraria non contraddica gli eventi della vita reale di cui i contemporanei sono a conoscenza. Ad esempio, il poeta non può affermare che l’abbandono delle due opere, il De viris e l’Africa, sia avvenuto nei primi anni quaranta, poiché quello fu il periodo in cui Petrarca lavorò con maggior zelo alla stesura dei due testi.
In questo modo, il poeta deve sempre riuscire ad equilibrare la finzione biografica con la realtà. Un lavoro simile comporta un enorme dispendio di energie, in quanto le opere scritte per il progetto della mutatio vitae possono essere giudicate come un unico corpo ricco di strade parallele che conducono da un testo all’altro. In un sistema così aggrovigliato, una correzione sbagliata, una svista, può causare un cortocircuito che provoca la fusione della fictio. Così Petrarca ad ogni correzione deve ricontrollare tutte le opere per accertarsi che siano in sintonia tra loro. Dal modo in cui lavora, si può dedurre come senta ossessivamente il bisogno di ricostruire una nuova immagine di sé da lasciare ai posteri, che muta ogni qual volta il suo modello ideale di vita cambia. Quindi le opere vengono riscritte in modo da obliare ogni aspetto del passato che non coincide con il Petrarca del presente.
I sentimenti che percorrono l’animo di questo particolare letterato del ‘300, lo rendono, in un certo senso, vicino alle inquietudini e alle ansie dell’epoca moderna. Il poeta è percosso dal timore che il suo nome non rimanga impresso nella storia e dalla sensazione di un tempo che sfugge al controllo dell’uomo e prosegue indifferente il suo moto. Inoltre, Petrarca sembra lacerato in due parti: una che, idealmente, aspira a separarsi dalle passioni terrene, come dimostra il progetto della mutatio, e un’altra che non riesce a rinunciare ai piaceri dell’amore e della gloria. Da questo punto di vista, sembra come se la sua fede nella religione vacillasse; come se il Petrarca stoico, comandato dalla ragione, non riuscisse ad affidarsi ciecamente a Dio.
In questo modo, i desideri terreni ai quali non riesce a rinunciare gli impediscono di fare il passo definitivo verso la conversione. Ma proprio da queste tensioni interiori, dovute dalla frammentazione dell’io del poeta, dalla sua mancanza di certezze assolute e dalla preoccupazione per l’immagine da lasciare ai posteri, nasce una nevrosi che fa di Petrarca un autore che può essere azzardatamente definito moderno. L’opera principale che ha il compito di sostenere la complessa struttura della fictio costruita dall’autore e testimoniare il momento della mutatio vitae, è il Secretum. Questo dialogo in latino, diviso in tre libri, rappresenta anche il momento della crisi del poeta e la conquista della maturità artistica.
Come si deduce dal titolo, l’opera sembra scritta per non essere diffusa tra il pubblico e per rimanere chiusa nello scrittoio, come se fosse un diario segreto. Del resto una scelta simile non coincide con la forma mentis di Petrarca. Ogni opera del poeta è sempre tesa verso l’esterno e il suo sguardo rivolto ad un futuro ignoto; dovunque Petrarca lascia un segno di sé, questo è orientato ai posteri: come se il poeta sentisse il bisogno di giustificare le idee, i dubbi, i cambiamenti agli occhi di un lettore che, dopo la sua morte, sarebbe entrato nello scrittoio a risistemare le carte. Inoltre, sono presenti diverse testimonianze dell’epoca nelle quali, parlando delle sue opere, si cita un certo dialogo in latino. Ma quando si parla della letteratura di settecento anni fa, niente può essere preso per certo. Anche le varie testimonianze potrebbero far riferimento ad un altro dialogo o addirittura ad un’opera andata perduta. Quindi, si può solo supporre che il Secretum non ebbe una diffusione tra il pubblico e che solo gli amici più cari dell’autore ne fossero a conoscenza, anche se questa opinione contraddice il modo in cui Petrarca concepisce la letteratura.
L’opera e l’autore
Il punto di partenza del Secretum è il bisogno del poeta di raggiungere la verità con se stesso. La stessa veste letteraria dell’opera ha questo obiettivo: il dialogo platonico, infatti, attraverso lo scontro tra i personaggi, ha la funzione di sfregare la superficie delle illusioni e degli inganni che impediscono al soggetto di conoscere se stesso, in modo tale da poter curare i mali che affliggono l’animo. La filosofia, in questo caso, è come una medicina dell’anima e Petrarca, come se fosse un dottore, cerca dentro di sé le soluzioni alle sue sofferenze attraverso la voce di Sant’Agostino.
Come detto precedentemente, Agostino è il modello esemplare al quale Petrarca si ispira per il progetto della conversione, e nessuno meglio di lui può assumere nell’opera il ruolo di guida morale per Francesco, il secondo personaggio del dialogo. Quest’ultimo rappresenta l’alter ego del poeta. Egli è l’allievo ingenuo a cui manca la forza di volontà necessaria per reagire alle malattie che lo affliggono, di cui è l’unico artefice e vittima. E questi, non volendo giungere alla consapevolezza della verità, giudica la realtà esterna e la fortuna come le più grandi nemiche, le quali sembrano non avere altro scopo se non quello di abbatterlo. In questo modo, egli può scrollarsi dalle spalle la responsabilità dei suoi errori e persuadersi che ogni tentativo rivolto a cambiare il suo stato di insofferenza sia inefficace.

Probabilmente Francesco percepisce la Fortuna come nemica per via della sua insaziabile sete di gloria. Egli vuole ad ogni costo raggiungere i primi posti ma poiché i suoi sforzi non sono giustamente ripagati e non riesce ad ottenere ciò che desidera, è sempre insoddisfatto della sua situazione attuale. Ma il desiderio di Francesco è ambiguo: desidera la gloria poetica e al contempo vuole raggiungere la tranquillità dell’animo. Due desideri che si contraddicono a vicenda, poiché, usando le parole di Sant’Agostino, «l’alto pino è agitato più spesso dai venti, le torri eccelse crollano con maggior rovina e i fulmini colpiscono le cime dei monti». E Francesco conosce queste parole, in quanto, essendo l’alter ego di Petrarca, ha studiato con perseveranza e impegno la filosofia classica.
Tuttavia questi precetti, pur essendo validi, sembrano non essere efficaci nella vita reale. E forse è questo presupposto a causare un finale inaspettato. Dopo i consigli di Agostino per vincere i mali dell’animo, i due sono giunti alla fine del loro incontro. Ora Francesco, dopo aver conosciuto la verità, deve promettere ad Agostino di impegnarsi a mettere in pratica le lezioni del maestro. Ma proprio nel momento decisivo, l’allievo torna sui suoi passi, riprendendo la strada verso la gloria e rimandando la conversione ad un futuro indeterminato. Così, l’opera che dovrebbe testimoniare l’avvenimento della conversione, si risolve con un nulla di fatto. Questo inatteso finale è molto significativo. Francesco, alla fine del dialogo, torna sui propri passi perché le proposte e i consigli di Agostino, per quanto possono essere teoricamente utili e giusti, sono impraticabili. Il maestro richiede a Francesco un incredibile sforzo di volontà per vincere i suoi mali, attraverso una continua meditazione sulla morte, l’allievo deve riconoscere la finitezza dell’uomo e dei beni terreni e sconfiggere i difetti connaturati nell’essere umano: l’invidia, l’accidia, la lussuria, il desiderio di gloria e l’amore, tutti sentimenti comuni, pulsioni naturali dell’uomo che non possono essere messi a tacere, dovrebbero essere da lui debellati. Ciò nonostante, sconfiggerli definitivamente sembra una missione impossibile, un impegno che Francesco non può mantenere, uno sforzo di volontà che supera i limiti dell’essere umano.
Detto questo, l’opera può quindi essere intesa come una presa di coscienza dei mali che affliggono l’animo di Francesco, raccontata attraverso una situazione squisitamente letteraria, che non può avere altro esito se non quello di un ritorno alla realtà, nella quale i consigli teorici di Agostino possono aiutare ma non risolvere. Un finale simile può essere stato causato da una sfiducia di Petrarca nei confronti della filosofia classica ma anche da un questione irrisolvibile della finzione biografica. L’autore ambienta il dialogo nei primi anni ’40 e non può fingere che a quell’altezza cronologica sia avvenuta un mutatio, poiché non avrebbe retto il confronto con la biografia reale. Allora, l’unico finale con cui Petrarca può chiudere l’opera, è una futura promessa di redenzione.
In ogni caso, rimane sorprendente come un uomo del ‘300 sia capace di analizzare, con uno sguardo lucido e oggettivo, il proprio animo e assumere contemporaneamente due punti di vista, quello di Agostino e di Francesco, così distanti tra loro, evitando che i due personaggi possano rappresentare complessivamente la personalità dell’autore. Infatti il vero Petrarca non può essere individuato né in Francesco né in Sant’Agostino poiché le caratteristiche di entrambi i personaggi sono enfatizzate in modo tale da celare la vera identità dell’autore. Francesco rappresenta i mali che affliggono l’animo di Petrarca, ma ne è a tal punto soggiogato da non poterli analizzare in modo oggettivo, mentre Agostino incarna una saggezza ideale che non può essere impiegata nella vita reale. Invero Petrarca si rivela nel mezzo, nel fitto gioco di specchi tra l’autore e i personaggi, dove a volte il vero volto del poeta appare, per poi scomparire dietro la finzione letteraria.
Quest’opera è inoltre esemplare per comprendere la severità morale con cui Petrarca analizza se stesso. Egli si autoaccusa di essere un accidioso, tuttavia lavora instancabilmente alle sue opere. Probabilmente è il suo animo sensibile che gli permette di vedere e comprendere gli aspetti più profondi di sé e il suo rigore morale a sentire negativamente i sentimenti naturali dell’essere umano come la lussuria, l’amore o l’ambizione. Allora, piuttosto che un accidioso, Petrarca è un uomo che tenta di affinare il suo animo e le sue opere per giungere ad un’ipotetica perfezione.
L’attualità del Secretum
Non si può infine evitare di notare la modernità del Secretum. Attraverso il dialogo, Petrarca sembra mimare i meccanismi di una terapia psicoanalitica, nella quale il paziente-Francesco a volte confessa la sua colpa, altre volte è reticente e si difende dalle accuse di Agostino, altre volte ancora entra in uno stato confusionale, ma infine accetta la verità. Atteggiamenti in un certo senso riconducibili agli stati d’animo di un paziente durante una seduta psicoanalitica, nella quale quest’ultimo, passando gradualmente dai mali più superficiali a quelli più profondi e superando un iniziale stato confusionale, riesce ad assumere una maggior consapevolezza di sé e una nuova maturità. E Petrarca, proiettandosi negli abissi del suo animo, giunge ad analizzare i mali più profondi e istintivi che hanno sempre fatto parte dell’uomo.
Per tutti questi motivi il Secretum supera i confini dell’epoca storica e i suoi argomenti oltrepassano i limiti della vicenda individuale per diventare specchio dell’essere umano. I temi come l’accidia, il difetto di volontà, lo smodato desiderio di gloria, sono tutt’ora attualissimi, in quanto nascono da una forte senso di individualismo e da un eccessivo amore per se stessi. La società d’oggi pone tra i valori più elevati il culto di sé, proponendo il raggiungimento del successo personale come un dovere inderogabile e nel contempo mette alla prova la forza di volontà individuale attraverso le distrazioni del benessere materiale. Chiunque sia dotato di una moderata sensibilità, noterà senza molta difficoltà, in se stesso e negli altri, gli stessi o simili mali argomentati dal Petrarca.
Quest’autore è quindi riuscito ad individuare le tensioni profonde dell’animo umano attraverso l’analisi personale, e ha tentato di proporre delle vie di salvezza nella fede, nel distacco dai piaceri terreni e nella meditazione sulla morte. Si tratta di proposte tuttavia impraticabili, che neanche Francesco riesce a realizzare, in quanto richiedono una forza di volontà che mira alla dissoluzione del proprio io e della realtà quotidiana. Sono certamente soluzioni tutt’altro che moderne ma oggi, quando ci confrontiamo con i paradossi, le contraddizioni e i limiti dell’uomo, e ci accorgiamo dell’impossibilità di scovare una verità assoluta e indiscutibile, uguale per tutti, quali sono le risposte che riusciamo a trovare che non inciampino nella fede o nel nichilismo?
di Giacomo Vaccarella
L’ha ribloggato su La Lucciola.
"Mi piace""Mi piace"