Cultura Teatro

Un affare di teatro

Cosa cerchiamo in uno spettacolo? È il dubbio amletico che “L’Affare Melghera” mi ha fatto nascere internamene. Una volta mi è stato detto che se una persona va al cinema e non gli piace il film, esce dal cinema deluso, ma se una persona va a vedere uno spettacolo e non gli piace, esce dal teatro arrabbiato. Io sono uscito dal teatro arrabbiato, ma non ho capito se lo spettacolo mi è piaciuto o meno.

Che genericamente in Italia si abbia una bassissima cultura dello spettacolo è vero. Nelle scuole un film o uno spettacolo teatrale viene fatto vedere per un suo contenuto educativo, inserito come materiale didattico per un argomento che si sta trattando, senza considerare che sia lo spettacolo dal vivo sia il film non vengono prodotti per un fine didattico inteso come quello scolastico. Non dico che un prodotto spettacolare non venga organizzato per comunicare qualcosa, ma che magari un film o uno spettacolo non vanno sempre guardati in base alla loro funzione didattica o narrativa. Ecco, L’Affare Melghera non racconta di re, di draghi o di terribili momenti storici. Chiara Aquaro, regista, insieme ai due attori, Gabriel Montesi ed Antonio Orlando, spingono lo spettatore a riflettere su cosa vada a vedere a teatro. Cos’è uno spettacolo teatrale? Quali linguaggi utilizza? Uno spettacolo teatrale è come andare a vedere una storia animata? Esiste uno spettacolo senza una storia da raccontare? È uno spettacolo che crea domande, non dà risposte, quindi non si può commentare se non attraverso le domande che suscita.

La trama nel suo complesso risulta incomprensibile; si comprende, con difficoltà, il rapporto fra i due personaggi, si comprendono le scelte di vita che entrambi hanno fatto, lo scontro fra due mondi diversi, tra due fratelli agli antipodi. Poi si capisce che ci sono delle questioni, degli “affari”, che sono l’elemento scatenante del loro incontro. In realtà l’affare è uno solo, ma cambia, muta durante lo spettacolo: prima è l’acquisto del palazzo dove si svolge l’azione, poi il suo abbattimento per la costruzione di un nuovo edificio, poi la volontà di rincontrare il fratello, poi un’altra questione che sembra riguardare una donna legata ad entrambi, ma forse rimasta in contatto con uno solo dei due. La vicenda è molto confusa, non si capiscono bene i rapporti in gioco, non si capisce molto bene la situazione, né l’identità della misteriosa donna. È tutto molto nebuloso.

Di cosa parla lo spettacolo? Non saprei dirlo con esattezza. Io ho visto delle cose, mi sono dato delle risposte, ma la persona accanto a me ne ha viste delle altre e si è data risposte diverse. Se fossi andato da solo, avrei avuto un’altra opinione. Se fossi andato da solo probabilmente mi sarei detto ciò che volevo sentirmi dire, avrei giustificato la mia incomprensione e la mia rabbia dovuta ad essa. Ma discutere mi ha fornito risposte diverse, un’altra visione, uno spettacolo diverso da quello che avevo visto io. Sono ancora arrabbiato, ma non ho una risposta. Ma se non si capisce niente, di cosa si discute? Lo spettacolo è fatto male e non c’è altra spiegazione. Ed ecco l’errore. Ecco le domande che fa sorgere questo spettacolo, la discussione che accende. Cos’è uno spettacolo teatrale? Cosa andiamo e vogliamo vedere a teatro? Qui l’importante non è la storia, ma l’impatto emotivo che si viene a creare, la tensione, lo scontro, il tradimento, la riappacificazione per poi riprendere lo scontro, i fantasmi del passato e le loro conseguenze nel presente. In diversi momenti si mette anche in discussione la natura umana dei personaggi. È uno spettacolo che parla di emozioni forti, di situazioni difficili; non ti obbliga a vedere qualcosa, ma a ragionare su un argomento, su una situazione, senza mai suggerirti un soggetto. Queste immagini sfocate di situazioni imprecisate sono create per essere completate dalla fantasia dello spettatore. Lo spettacolo lavora sullo spettatore, sulle sue emozioni e lo lascia libero di creare, di sentire singole cose senza doverle legare ad un contesto.

Senza dubbio l’organizzazione del Fringe Festival ha contribuito a renderlo incomprensibile: la rappresentazione teatrale si è svolta all’ex Mattatoio, a Testaccio, nell’edificio La Palanda, in una stanza divisa in due da un telo, uno spettacolo da una parte ed un altro diverso, allo stesso tempo, dall’altra. Risultato di questa collocazione è stato il disturbo continuo fra i due. L’altro spettacolo invadeva acusticamente il nostro, di continuo, rovinando l’atmosfera e coprendo la voce dei nostri attori. Inoltre il pubblico contribuiva con la sua distrazione, fra borbottii, cellulari squillanti e foto con il flash. In tutto questo marasma gli attori non si sono mai distratti, non hanno mai dato segno di sbandamento, neanche di un leggero disorientamento. Un grande complimento sicuramente va alla loro concentrazione, ma anche la loro prestazione è stata magnifica. I due attori hanno dato prova di prestanza fisica e di naturalezza nel lavorare in condizioni anche difficili e con materiali che possono risultare molto distraenti, quali l’acqua (buttata in faccia con un secchio ad un attore), una bottiglia di vino (che potrà pur non essere stato vino, ma il liquido era vero e la sua presenza in scena era tutta lì). Anche gli sguardi e i loro movimenti hanno garantito la visione di un bello spettacolo. Ed ecco un’altra possibile risposta a che cosa si va a vedere a teatro: non è una storia che si va a conoscere, ma si va ad incontrare attori, si va a vedere la fisicità di persone che comunicano emozioni, sentimenti, tensioni. Gli attori sono lo spettacolo, sono loro il soggetto, non una storia. Sono loro a rendere la rappresentazione emozionante o inutile. Gli attori al centro della scena, che lavorano sulla fantasia e sulle emozioni dello spettatore. Questo è il teatro moderno.

E complimenti anche ai saluti, durante i quali tutto il reparto tecnico è venuto sulla scena per godere degli applausi. Giusto, lo spettacolo che è stato fatto non è solo il risultato degli attori in scena, ma anche di tutto quel reparto che solitamente lo spettatore non vede e che contribuisce alla miglior resa possibile. Questo chiaramente è un teatro, fra i tanti esistenti nel mondo dello spettacolo. E questa è la mia opinione riguardo questo spettacolo, ma è fuori discussione che un teatro così cambia in base agli occhi di chi lo vede. Per questo è invalutabile, non è possibile considerarlo su basi oggettive. Va visto e va discusso. Indirettamente è anche uno spettacolo che invita a venire a teatro in compagnia perché da soli si perderebbe quel confronto su cosa si è visto. Non esiste una cosa giusta o sbagliata, un bello o un brutto, esistono tante sfumature, e solo in compagnia se ne possono cogliere di più. Andate a teatro dunque, ma andate in compagnia e vivete la comunità teatrale, perché è questo il teatro, vita e comunità, scambio e scontro. O almeno questo è un teatro.

di Lorenzo Bitetti

Non c’è molto da aggiungere a quello che ha detto il buon Lorenzo riguardo lo spettacolo, e anche se ci fosse io proprio non potrei, visto che stavolta ho disertato e non sono andato con lui, abbandonandolo al proprio destino. Quel che posso fare invece è spendere due parole, due, sul Fringe Festival, quante ne bastano per – si spera – accendere in voi cari lettori una curiosità tale da fare vestra manu una ricerca su Google.

Il Fringe Festival nasce a Edimburgo nel 1947, e si diffonde rapidamente, al punto che in breve tempo c’è una sua edizione in tutte le più importanti città del mondo. Qui da noi, a Roma, arriva solo nel 2012, ma riscuote da subito un grande successo: ogni anno sempre più compagnie teatrali indipendenti accedono al concorso per parteciparvi, sfruttando l’occasione per esibirsi davanti a un pubblico internazionale; e i vincitori spesso raggiungono una fama che travalica i confini europei. Una grande occasione dunque per assistere a spettacoli di livello, e per farsi un’idea precisa della direzione che prenderà il teatro – nostrano ma non solo – negli anni a venire.

E se questo non bastasse a convincervi a dargli una possibilità, sappiate che ogni edizione del Fringe Festival di Roma si tiene in un diverso luogo della Capitale: cornici di rara bellezza, come Villa Ada, Castel Sant’Angelo, Villa Mercede… quest’anno, ad esempio, è toccato all’Ex-Mattatoio, e in particolare alla Pelanda dei suini. Che in pratica è quello stanzone in cui venivano portati i maiali appena sgozzati perché venissero appesi e scuoiati. Fidatevi, detta così non rende l’idea: in realtà è un gran bel posto: a meno che non siate un suino…

Il Festival durerà fino al 28 gennaio, il che vuol dire che fate ancora in tempo, se vi sbrigate, a godervi un bello spettacolo. E se non fate in tempo, non disperate: ora che sapete della sua esistenza (perché, se siete appassionati di teatro e non ci siete ancora andati, l’unica giustificazione è che non sapeste della sua esistenza) potete sempre fare in modo di farci un salto l’anno prossimo.

 di Davide Rubinetti

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